Quando un privato cittadino decide di installare una telecamera a servizio delle proprie necessità, spesso lo fa senza curarsi di ciò che sta intorno alle proprie pertinenze ed il cono di ripresa finisce in molti casi per riprendere anche il giardino condominiale o le finestre del vicino, facendo strada così ad attriti tra condòmini e vere e proprie liti condominiali.
L’installazione di sistemi di videosorveglianza in ambito privato o domestico è lecita solo se rispetta due condizioni:
- riprende solo ed esclusivamente le proprie pertinenze private;
- non diffonde in alcun modo le immagini catturate (fatta salva la possibilità di utilizzarle per documentare un reato e sporgere una denuncia alle autorità);
In tal caso viene meno anche l’applicazione del GDPR e di tutte le sue prescrizioni, che invece sono applicabili per tutte le installazioni condominiali.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza 10925 del 23 aprile 2024, ha ribadito per l’ennesima volta, facendo riferimento a GDPR, ai provvedimenti del Garante ed alle linee guida EDPB del 2019, che in ambito privato e domestico, gli impianti di videosorveglianza non sono soggetti alle regole imposte dal GDPR 2016/679, tuttavia le riprese devono riguardare solo ed esclusivamente le proprie pertinenze private, in ossequio al principio di minimizzazione, ma anche nel pieno rispetto delle altre norme civili e penali.
Quindi ogni condòmino o privato cittadino che installi una telecamera dovrà limitare il cono di ripresa solo ai propri spazi privati: nel caso di specie invece, le riprese erano indirizzate anche al portone del condominio ed a parte del viale circostante, di conseguenza l’installazione è stata ritenuta illegittima, al punto da ordinarne la rimozione su richiesta degli altri condòmini.
L’ordinanza di rimozione delle telecamere non esclude la successiva eventuale richiesta di danni.